Basato su una storia vera, “Il caso spotlight” prende di mira la piaga dei sacerdoti pedofili coperti dalla istituzione religiosa che vuol lavare in famiglia i panni sporchi, a costo di non risolvere il problema e non rendere giustizia alle vittime. Encomiabile.
La chiave narrativa scelta è quella ricorrente nel cinema americano, la messa in scena di un’inchiesta giornalistica che va oltre le previsioni e suscita scandali e problemi. I precedenti oltre ad essere numerosi sono illustri, da “Prima pagina” di Billy Wilder a “Tutti gli uomini del presidente” di Alan J. Pakula.
Il cast è quello delle grandi occasioni, capeggiato da Michael Keaton reduce dal meritatissimo Oscar per “Birdman” di Inarritu.
Peccato che la sceneggiatura sia a dir poco superficiale, abbozzando personaggi che non trovano adeguato sviluppo, né motivazione né conclusione, e che la regia sia piatta in maniera sconfortante. E anche il cast, pure di qualità, non riesca ad offrire prove al di sopra del dovuto.
Il caso spotlight è la dimostrazione che i premi, fosse anche l’Oscar, molto spesso non esprimono il reale valore di un’opera ma solo una media tra una serie di giudizi personali e opportunità politica.
Bruno di Marcello